lunedì 7 aprile 2014

DA ESCLUSIVO A CONDIVISO: LA RIVOLUZIONE DELL’AFFIDO



Una recentissima sentenza della Suprema Corte ci offre la possibilità di approfondire un tema tanto delicato quanto attuale, ossia l’istituto dell’affido condiviso, cioè quella forma di affidamento dei minori ad entrambi i genitori e non a uno solo, come invece avveniva antecedentemente all’introduzione dell’istituto medesimo, avvenuta in Italia mediante la legge n. 54/2006, consentendo così ai figli, nonostante la separazione dei propri genitori, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi. La sentenza, confermando l’orientamento della Cassazione, ha sottolineato l’importanza dell’affido condiviso anche in casi caratterizzati da accesa conflittualità tra i coniugi/genitori. Vediamo insieme perché…

LEGGE 54/1996, È RIVOLUZIONE: DALL’AFFIDO ESCLUSIVO ALL’AFFIDO CONDIVISO La ormai più volte citata legge 54/2006 ha sostanzialmente mutato la normativa afferente l’affidamento dei minori in caso di separazione dei coniugi, in quanto ha sovvertito l’impianto normativo precedente, prescrivendo l’affido condiviso (ad entrambi i genitori) come regola e quello esclusivo (ad un solo genitore, di solito la madre) come eccezione. Le norme di riferimento, riscritte in questa nuova ottica improntata alla effettiva realizzazione di una bigenitorialità piena, ossia la presenza di entrambi i genitori nella vita dei propri figli, sono gli artt. 155 e 155 bis del codice civile, il primo dei quali, rubricato provvedimenti riguardo ai figli, così dispone: 

ART 155, RIGUARDO AI FIGLIanche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunta da ciascun genitore. L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice. Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi», mentre il secondo, rubricato affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso, sancisce che «il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile”. 

L’INTENZIONE DEL LEGISLATORE Alla luce di ciò, emerge chiaramente l’intenzione del legislatore di tutelare innanzitutto gli interessi dei figli, sia materiali che morali, i quali fungono da vero e proprio parametro per il giudice in ordine alla scelta tra affidamento condiviso o esclusivo. Tuttavia, non avendo il legislatore medesimo ritenuto opportuno tipizzare le circostanze ostative all’affidamento condiviso, sarà compito del giudice stesso ravvisarle discrezionalmente caso per caso, disponendo un affido di tipo esclusivo, da adottarsi mediante provvedimento motivato, solo laddove ravvisasse l’esistenza di circostanze specifiche ed individuate, tali per cui l’affidamento condiviso sarebbe contrario all’interesse del minore, dunque lesivo per lo sviluppo psico-emotivo e fisico dello stesso. 

L’AFFIDO CONDIVISO È UN DIRITTO DEL FIGLIO, NON DEL GENITORE In altre parole, la bigenitorialità discendente dal nuovo assetto normativo altro non è che un diritto facente capo primariamente al minore, e solo di conseguenza ai genitori, in quanto la stessa rappresenta un diritto imprescindibile di ogni figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo sia con la mamma che con il papà, essendo tali legami affettivi di fondamentale importanza per un sereno sviluppo psicologico del minore stesso, a prescindere dal fatto che i propri genitori formino o meno una famiglia. Infatti, è proprio nel diritto ad un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore che va ravvisata l’essenza della bigenitorialità, poiché la stessa mira a tutelare la stabilità della sfera affettiva ed evolutiva dei figli anche laddove venga meno l’unità famigliare, in modo tale da minimizzare il trauma del distacco che fisiologicamente discende da una separazione. In ragione di ciò si spiega, dunque, il motivo per il quale alla regola dell’affidamento condiviso, quale strumento giuridico idoneo a realizzare la bigenitorialità in parola, si possa derogare solo ove l’applicazione del medesimo discenda un pregiudizio per il minore, poiché sarebbe proprio la bigenitorialità ad essere dannosa a causa di una manifesta carenza e/o inidoneità educativa di uno dei genitori o comunque tale da impedire un corretto sviluppo del minore medesimo. Emerge quindi un profilo innovativo, poiché «l’esclusione della modalità dell’affidamento condiviso dovrà risultare sorretta da una motivazione non più solo in positivo sull’idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale e sulla non rispondenza, quindi, all’interesse del figlio dell’adozione, nel caso concreto, del modello legale prioritario di affidamento» (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 18 giugno 2008, n. 16593). 

SE PAPÀ E MAMMA LITIGANO, L’AFFIDO CONDIVISO NON È COMUNQUE DA ESCLUDERE Chiariti i tratti fondamentali dell’istituto in parola, veniamo ora alla giurisprudenza di legittimità, in particolare analizzando la recente decisione della Suprema Corte, la quale, come anticipato, allineandosi all’orientamento prevalente in materia, ha affermato che anche in caso di alta conflittualità tra i coniugi comunque è applicabile la forma dell’affidamento condiviso, in quanto «il provvedimento in materia di affidamento della prole deve essere adottato con riferimento all’interesse esclusivo della medesima» (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 31 marzo 2014, n. 7477), dunque «si richiede che siano desunti elementi di valutazione dal comportamento, anche processuale, di un genitore nei confronti dell’altro, di per se stesso privo di rilievo ai fini della relativa statuizione, ancorché sintomatico di aspra conflittualità, ove non risulti che la stessa ponga in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei figli, in maniera tale da pregiudicare il loro interesse» (sul punto, cfr. anche Cassazione civile, Sezione I, Sentenza del 29 marzo 2012, n. 5108). Ne discende, dunque, che la conflittualità esistente tra i coniugi, peraltro quasi sempre presente nei procedimenti di separazione e divorzio, non può ritenersi circostanza di per sé idonea alla disapplicazione dell’affido condiviso, in quanto tale forma di affidamento è stata creata proprio per riequilibrare il ruolo genitoriale in favore dell’interesse dei figli. 

MA SE I CONFLITTI NON ESPRIMONO INIDONEITÀ GENITORIALE… Nonostante i buoni propositi volti a realizzare in concreto un clima favorevole alla bigenitorialità, può concretamente accadere che la conflittualità sia generata non tanto dalle circostanze tipiche che conducono alla disgregazione della coppia ma a causa proprio dell’inidoneità di un genitore a ricoprire il proprio ruolo. In tal caso si genera un conflitto che è di ostacolo all’applicazione dell’affido condiviso. Tuttavia, per i motivi espressi in principio, i giudici tendono a restringere molto i casi in cui ritengono utile al minore l’affido ad un solo genitore, limitandolo, quindi, all’ipotesi in cui la condotta del genitore sia gravemente pregiudizievole al figlio, ovvero quando costui assume comportamenti atti a minare ed a porre in pericolo sia l’equilibrio che lo sviluppo del minore in quanto radicalmente contrari alla stabilità emotiva del medesimo. In ragione di ciò, dunque, non si tratta più di indagare la qualità delle relazioni coniugali, cui il figlio deve rimanere estraneo, ma di comprendere se la figura genitoriale sia o meno dannosa alla corretta formazione della personalità del minore, vuoi perché espressione di astio nei confronti dell’altro genitore, vuoi perché derivante da inidoneità vera e propria a ricoprire tale ruolo.

CIÒ CHE CONTA È LA TUTELA DELLA PARTE PIÙ DEBOLE Per concludere, seppur vale in via generale il principio per il quale l’affidamento condiviso non può ragionevolmente ritenersi precluso, di per sé, dalla mera conflittualità tra i coniugi, vale altresì la deroga per la quale occorre disporre l’affidamento esclusivo, laddove questo salvaguardi l’interesse dei figli, in virtù di quanto stabilito dall’art. 155 bis del codice civile, secondo il quale in caso di contrarietà dell’affidamento condiviso all’interesse del minore – che dovrà necessariamente emergere in sede di accertamento nel giudizio di merito e congruamente motivato dal giudice -, si dovrà optare per l’affidamento in forma esclusiva al genitore idoneo. Ciò che conta, in poche parole, è la tutela di quella che in una separazione o divorzio è sempre la parte più debole, ossia la prole, motivo per il quale la forma di affidamento da applicare deve essere scelta solo ed esclusivamente al fine di realizzare una effettiva tutela della prole stessa.

Dott.sa Roberta Bonazzoli – Studio Comite