lunedì 26 gennaio 2015

SINISTRI STRADALI: QUANTO TEMPO HO PER LA RICHIESTA DEL RISARCIMENTO DEI DANNI?


Argomento decisamente interessante e spinoso sul quale ritengo opportuno spendere qualche considerazione per rammentare, in modo sintetico, il punto di vista dei giudici. Nella pratica è una questione assai dibattuta e, talvolta, anche noi operatori del diritto abbiamo qualche dubbio e qualche perplessità data dal fatto che non è possibile fornire una risposta secca. La soluzione comporta, infatti, l’analisi del caso concreto e, dunque, deve essere necessariamente ragionata. Spesso, peraltro, la questione sorge, e va necessariamente affrontata, con riguardo al danno parentale che subiscono i prossimi congiunti in relazione alle lesioni gravi che patisce la vittima del sinistro. In parole semplici, può accadere che l’avvocato incaricato della tutela del danneggiato si concentri sulle questioni che necessitano di istruttoria più immediata, accantonando temporaneamente i danni che subiscono mogli, mariti e figli della vittima in conseguenza di gravi incidenti stradali. L’approccio è indubbiamente corretto, tuttavia non bisogna dimenticare che il diritto a richiedere il risarcimento soggiace sempre, e ineluttabilmente, a termini che vanno rispettati sia per le vittime primarie sia per quelle secondarie. Allo stesso modo anche la richiesta di risarcimento dei danni materiali, ovvero dei danni alle cose, è sottoposta ad un termine che, laddove spirato, comporta la perdita del diritto. Ma allora quanto tempo abbiamo? 

COSA DICE LA LEGGE? Le norme di riferimento sono contenute nell’articolo 2947 del codice civile la cui formulazione, tuttavia, ha sollevato non pochi dubbi interpretativi tant’è che persino i giudici della Suprema Corte hanno espresso, nel corso del tempo, pareri discordanti. Il primo comma dell’articolo in questione si riferisce genericamente al diritto al risarcimento dei danni che derivano da fatto illecito, extracontrattuale, il quale si prescrive nel termine di cinque anni. Il secondo comma, invece, si riferisce in modo specifico ai danni che derivano dalla circolazione dei veicoli di ogni specie e dispone che tale diritto al risarcimento si prescrive nel termine di due anni. La norma in parola, tuttavia, non chiarisce se il riferimento vale sia per le lesioni, che le vittime subiscono, sia per i danni alle cose, ovvero per i danni ai veicoli e ad altri oggetti quali per esempio casco, orologio, telefoni cellulari e via dicendo. L’ultimo comma dell’articolo 2947 stabilisce, infine, parafrasando, che qualora il fatto sia considerato dalla legge come reato e per il reato è stabilito un termine prescrizionale più lungo, questo si applichi anche all’azione civile. Tuttavia, se il reato si estingue per causa diversa dalla prescrizione o è intervenuta sentenza irrevocabile, nel giudizio penale, il diritto al risarcimento del danno si prescrive nei termini indicati dai primi due commi, con decorrenza dalla data di estinzione del reato (regolata dagli articoli 150 e seguenti del codice di procedura penale) o dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile (regolata dagli articoli 648 e 650 del codice penale). Insomma, un bel pasticcio! Cerchiamo, allora di capire che senso dare a questa regolamentazione.

BISOGNA DISTINGUERE LE LESIONI DAI DANNI ALLE COSE La prima cosa certa che emerge dall’esame delle norme appena rammentate è che occorre necessariamente distinguere tra danni alle cose, per i quali si può affermare, con una certa sicurezza, che si applichi il termine prescrizionale di due anni, che decorrono dalla data di verificazione del sinistro, dai danni, invece, alla persona. Con riguardo a tale ultima categoria sono sorti i dibattiti più accesi sia tra i giudici sia tra gli studiosi del diritto. Posto, infatti, che le lesioni personali rilevano giuridicamente anche sotto il profilo penalistico (ovvero il nostro ordinamento giuridico ritiene che la lesione della persona rilevi anche come reato), si trattava di capire se il termine per richiedere il ristoro delle stesse fosse di due anni, tutte le volte che queste fossero la conseguenza di un sinistro stradale, o se, invece, fosse possibile allungare tale termine in virtù di quanto stabilito all’ultimo comma dell’articolo 2947 del codice civile. Siccome, dunque, il reato di lesioni personali, previsto e punito agli articoli 582 e 590 del codice penale, si prescrive in cinque anni secondo quanto stabilito dall’articolo 157, comma 1, n. 4, del codice penale, allora i giudici, in applicazione dell’ultimo comma dell’articolo 2947 del codice civile, hanno ritenuto che il diritto a richiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, derivanti appunto dalle lesioni, si prescrivesse nel diverso e più lungo termine previsto per il reato di lesioni personali. Ma questo non in tutti i casi … 

NEL 2002 LA CASSAZIONE A SEZIONI UNITE INTERPRETA PER LA PRIMA VOLTA LA NORMA Inizialmente la Suprema Corte si è pronunciata a Sezioni Unite stabilendo il principio per il quale “in tema di danni derivati dalla circolazione dei veicoli, ove il fatto illecito integri gli estremi di un reato (per il quale sia stabilita una prescrizione più lunga di quella civile) perseguibile a querela e quest’ultima non sia stata proposta, trova applicazione la prescrizione biennale di cui al secondo comma dell’articolo 2947 del codice civile” (Cassazione civile, Sezioni Unite, Sentenza del 10 aprile 2002, n. 5121). In altre parole, in base a tale originaria interpretazione, imperniata sulla unitarietà delle giurisdizioni civili e penali, laddove non fosse stata proposta querela, il legittimato all’azione risarcitoria era obbligato a far valere il proprio diritto nel termine breve di due anni e non nel diverso termine prescrizionale di cinque anni, valevole nel solo caso in cui avesse depositato la denuncia all’autorità giudiziaria (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 5 giugno, n. 13057; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 22 maggio 2007, n. 11885; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 19 dicembre 2006, n. 27169).

NEL 2008 LA CASSAZIONE A SEZIONI UNITE INVERTE LA ROTTA Nel giro di qualche anno i giudici della Suprema Corte correggono se stessi e superano il precedente orientamento, recependo un’interpretazione maggiormente aderente al dettato normativo ed ai principi dell’autonomia e della separazione delle giurisdizioni. Il comma terzo dell’articolo 2947 del codice civile viene, dunque, ritenuto applicabile in presenza di due condizioni, ovvero: 1) che il fatto dannoso sia anche configurabile come reato; 2) che il reato si prescriva in un termine più lungo di quelli stabiliti nei commi uno e due dello stesso articolo 2947. Per dirla in parole semplici, secondo questa nuova e più condivisibile interpretazione, il reato esiste, con tutti i suoi elementi soggettivi e oggettivi, a prescindere dalla condizione di procedibilità. Esiste cioè a prescindere dalla proposizione o meno della denuncia alle autorità. In sintesi, ciò che rileva è se il fatto sottoposto al vaglio dei giudici sia astrattamente configurabile come reato e non la sua punibilità in concreto. Siccome, dunque, le lesioni alla persona che derivano da sinistro stradale sono rilevanti anche penalmente e poiché il reato di lesioni colpose si prescrive in cinque anni, ovvero in un tempo più lungo rispetto alla previsione civilistica (di due anni), entrambe le condizioni risultano sussistenti per l’applicazione del dettato normativo. Ne deriva che l’azione del danneggiato, che può anche non coincidere con il titolare della querela, come accade nel caso ad esempio dei prossimi congiunti, vittime secondarie del reato, finalizzata ad ottenere il risarcimento dei danni patiti, si prescriverà nel diverso e più lungo termine di cinque anni (Cassazione civile, Sezioni Unite, Sentenza del 18 novembre 2008 n. 27337). 

PRESCRIZIONE PIÙ LUNGA ANCHE SE MANCA LA QUERELA I giudici della Suprema Corte definiscono, dunque, cosa debba intendersi per fatto reato ed enunciano, il seguente principio: “Nel caso in cui l’illecito civile sia considerato dalla legge come reato, ma il giudizio penale non sia stato promosso, anche se per mancata presentazione della querela, l’eventuale, più lunga prescrizione prevista per il reato, si applica anche all’azione di risarcimento, a condizione che il giudice civile accerti, incidenter tantum, e con gli strumenti probatori ed i criteri propri del procedimento civile, la sussistenza di una fattispecie che integri gli estremi di un fatto - reato in tutti i suoi elementi costitutivi, soggettivi ed oggettivi, e la prescrizione stessa decorre dalla data del fatto, atteso che la chiara lettera dell’art. 2947, c. 3 c.c., a tenore della quale "se il fatto è considerato dalla legge come reato", non consente la differente interpretazione, secondo cui tale maggiore termine sia da porre in relazione con la procedibilità del reato” (Cassazione civile, Sezioni Unite, Sentenza del 18 novembre 2008 n. 27337). Tale principio è stato ribadito costantemente dalla giurisprudenza successiva e più recente (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 25 novembre 2014, n. 24988; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 1° aprile 2014, n. 7526; Cassazione penale, Sezione VI, Ordinanza del 13 novembre 2013, n. 25538; Cassazione civile, Sezione III, Sentenza del 14 novembre 2011 n. 23795; Cassazione civile, Sezione III; Sentenza del 13 luglio 2011, n. 15368; Cassazione civile, Sezione III, Ordinanza del 23 settembre 2010, n. 20111). 

DA QUANDO COMINCIA A DECORRERE IL TERMINE? Il dies a quo, vale a dire il giorno da cui decorre la prescrizione, sinteticamente indicato nell’articolo 2947, comma 1, del codice civile, nella locuzione “giorno in cui il fatto si è verificato”, è fissato in base ai principi già stabiliti dalle sentenze della cassazione a Sezioni Unite del 2008, n. 576, 580, 582, ed altre in pari data, al momento in cui il soggetto danneggiato abbia avuto (o avrebbe dovuto avere, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche) sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato. Ciò significa che il termine decorre da quando il danneggiato, ha compreso o avrebbe dovuto comprendere, usando l’ordinaria diligenza e le conoscenze scientifiche più diffuse, che i danni patiti sono da riportare causalmente al fatto reato (Cassazione civile, Sezioni Unite, Sentenza del 18 novembre 2008 n. 27337).

Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite