mercoledì 11 marzo 2015

CONDOMINIO: QUANTO TEMPO HA L'AMMINISTRATORE PER CHIEDERE AI MOROSI DI PAGARE LE SPESE?


Luca B, un nostro lettore di Milano, ci ha sottoposto un’interessante questione dopo aver ricevuto dall’amministratore, per la prima volta, la richiesta di pagamento di alcune spese condominiali non versate e riferite all’ormai lontano anno di gestione 2008/2009. Ci precisa il nostro lettore che nel corso di tutti questi anni non ha mai ricevuto alcun sollecito di pagamento per tali spese anche se l’importo relativo a questo debito è stato riportato nel tempo in tutti i bilanci di esercizio quale conguaglio a debito della sua posizione contabile. Luca B. ci chiede quindi se l’amministratore, dato il lasso di tempo trascorso, ha ancora la possibilità di richiedere il pagamento di questo suo debito, riferito al mancato pagamento di alcune rate scadute e non pagate nell’anno 2008/2009, oppure se questi crediti del condominio nei suoi confronti sono ormai prescritti e quindi inesigibili. Ringrazio naturalmente il lettore per lo spunto di approfondimento che mi ha fornito perché, come detto poc’anzi, la questione, oltre ad essere assai ricorrente, è anche estremamente interessante. Sul punto, tra l’altro, vige, sia tra gli studiosi del diritto sia tra i giudici, la più grande incertezza essendoci orientamenti tra loro opposti e contrastanti. Per tornare al quesito … 

CHE DICE LA LEGGE? Il problema a cui dare una risposta è quindi se e quando si prescrivono i crediti che vanta il condominio nei confronti del proprietario inadempiente ovvero che cosa succede se, nonostante l’accertamento dello stato di morosità di un condomino, l’amministratore, non attivi o, si attivi con molto ritardo nel procedere alla riscossione dei contributi condominiali. In tema di prescrizione è innanzitutto fondamentale richiamare l’art. 2934 del codice civile che così dispone: “Ogni diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. Non sono soggetti alla prescrizione i diritti indisponibili e gli altri diritti indicati dalla legge”. Ora è di tutta evidenza che, considerata la loro natura, i crediti condominiali non possano rientrare nella categoria dei diritti imprescrittibili e, pertanto, è plausibile affermare che, al pari di altre situazioni giuridiche, anche gli oneri condominiali siano soggetti alla prescrizione. La domanda che bisogna porsi allora a questo punto è chi, in sostanza, debba essere individuato quale titolare del diritto alla riscossione o, ancora meglio, chi sia il soggetto a cui incombe l’onere di esercitarlo “per il tempo determinato dalla legge” pena l’estinzione per prescrizione. 

TROPPE TESI CONTRASTANTI Nonostante possa apparire semplice applicare il dettato normativo, la dottrina e soprattuto la giurisprudenza hanno sul punto generato interpretazioni opposte e inconciliabili tra loro tanto da confondere le idee ai condomini, agli amministratori e persino agli avvocati. A condurre le fila di queste opinioni contrastanti è stata addirittura la Suprema Corte che, in poco tempo, ha cambiato più volte orientamento rendendo difficile, per tutti, avere riferimenti univoci e dati certi. Vediamo, allora, cos’è che ingenera tanta confusione partendo proprio dall’esame delle pronunce della Cassazione, analizzandone sinteticamente i contenuti e soprattutto tracciando un quadro delle diverse tesi prospettate. 

UNA TESI (CONDIVISIBILE) Un primo orientamento ritiene che che gli oneri condominiali, vale a dire le spese che affronta il condominio per la propria esistenza e che vanno ripartite tra tutti i condomini, debbano essere ricondotti “tra quelli soggetti alla prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948 c.c., a nulla rilevando che l’amministratore si ponga come una sorta di delegato degli stessi condomini per la riscossione di tali quote, poiché il pagamento delle quote suddette costituisce comunque un vero e proprio debito del singolo condomino nei confronti della collettività di tutti i condomini costituente il condominio che, sebbene privo di personalità giuridica, è comunque abilitato a tutelare i diritti comuni, anche contro la volontà di singoli condomini dissenzienti ma minoritari” (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 28 agosto 2002, n. 12596). Con questa pronuncia la Suprema Corte, tenendo fermo il principio di diritto enunciato dall’art. 2934 del codice civile sopra citato, ha stabilito che i pagamenti periodici (il caso di specie riguardava debiti condominiali relativi alle spese fisse per la pulizia e ordinaria manutenzione del fabbricato) rientrano tra quelli soggetti alla prescrizione quinquennale così come disposto dal punto 4) dell’articolo 2948 del medesimo codice civile. I giudici hanno quindi affermato che si prescrivono in 5 anni “gli interessi e, in generale tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi” richiamando, peraltro, un altro precedente conforme secondo cui “l’obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini è tenuto a contribuire alle spese per la conservazione e manutenzione delle parti comuni dell’edificio…omissis)… sorge soltanto dal momento dell’approvazione della delibera assemblare di ripartizione delle spese” (Cassazione civile, Sentenza del 5 novembre 1992, n. 11981). Questo orientamento, pertanto, stabilisce due importanti principi, vale a dire che i debiti condominiali sono soggetti alla prescrizione quinquennale e che il termine da cui comincia a decorrere il quinquennio non sorge nel momento in cui la spesa viene approvata ma solo nel momento in cui viene deliberato dall’assemblea il criterio di ripartizione della spesa, e cioè nel momento in cui ogni condomino viene a conoscenza della quota precisa che deve pagare. Tale precisazione risulta basilare poiché il momento da cui comincia a decorrere il termine della prescrizione viene individuato nell’approvazione del riparto mentre il soggetto titolare del diritto ad esercitare il diritto a riscuotere il credito nei confronti del proprietario moroso è il condominio (inteso sia come soggetto collettivo che come ente di gestione) tramite il suo mandatario ovvero l’amministratore. 

MA LA CASSAZIONE CI RIPENSA… Una seconda tesi, opposta alla precedente, viene introdotta da una più recente sentenza della Suprema Corte che considera le obbligazioni condominiali tante quante sono le quote che vanno a determinare il contributo complessivo ovvero, in altre parole, fraziona il debito complessivo del proprietario nei confronti del condominio in tante obbligazioni quante sono le prestazioni ricevute (ad esempio: un obbligo di pagamento verso l’amministratore per il suo emolumento, uno verso la società che eroga il riscaldamento, uno verso l’impresa di pulizie, e via dicendo). Con la medesima decisione la Suprema Corte afferma, peraltro, che “l’obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell’assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente, e che può anche mancare ove esistono le tabelle millesimali, per cui l’individuazione delle somme dovute dai singoli condomini sia il frutto di una semplice operazione matematica” (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 21 luglio 2005, n. 15288). Per effetto di questa pronuncia dottrina e giurisprudenza hanno pertanto ribaltato il criterio della quinquiennalità della prescrizione delle rate condominiali, ritenendo in sostanza che sia impossibile far rientrare i crediti condominiali in quelli previsti dal citato articolo 2948 del codice civile. Secondo tale orientamento il debito del condomino, infatti, non trarrebbe origine dal rapporto con l’amministratore, che è considerato un mero mandatario del condominio, ma dal rapporto di solidale responsabilità del condomino insieme a tutti gli altri condomini, nei confronti dei terzi creditori. Secondo tale impostazione, quindi, la prescrizione del debito del proprietario verso il condominio, per mancato pagamento delle rate condominiali, si verificherebbe solo nel caso in cui tale debito fosse anche prescritto nei confronti di terzi creditori esterni al condominio. Se si accogliesse tale tesi, dunque, la prescrizione non sarebbe più quinquennale ma decennale, rientrando nei casi di prescrizione ordinaria, prevista dall’articolo 2946 del codice civile (dipendendo da un contratto, vale a dire quello stipulato con i fornitori). 

E LA RIFORMA ANCORA UNA VOLTA TACE C’è chi da più parti giustamente ha fatto osservare come questa pronuncia si esponga a molte critiche sia sotto il profilo tecnico giuridico che quello pratico. Da un lato infatti non si capisce come gli ermellini abbiano potuto sovvertire l’indirizzo abbracciato nel 2002 senza, tuttavia, giustificare l’inapplicabilità della disciplina della prescrizione quinquennale che espressamente considera “…tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno…” come appunto sono le obbligazioni costituite dalle rate condominiali. Per altro verso considerare il sorgere del debito dall’approvazione della spesa (per il vero non ancora sostenuta) e, al contempo, asserire il frazionamento dei termini di prescrizione secondo la scadenza di ogni singolo rapporto obbligatorio con i fornitori rende, nella pratica, quasi impossibile fissare il momento preciso da cui far decorrere la prescrizione medesima per il titolare del diritto. La legge 220/2012 (Riforma del Condominio), per di più, nulla dice sull’argomento e forse, considerata la complessità della materia, si è persa un’ulteriore occasione per fare chiarezza mettendo dei punti fermi. 

E SE IL DEBITO VIENE RIPORTATO DI ANNO IN ANNO NEL BILANCIO? Rimane inoltre aperto un quesito ovvero: qualora il debito del condomino venga riportato a nuovo nel bilancio dell’anno successivo, la prescrizione ricomincia a decorrere dalla data di approvazione del nuovo bilancio? C’è chi risponde a questa domanda in senso affermativo richiamando il disposto dell’art. 2944 del codice civile che così recita: “la prescrizione è interrotta dal riconoscimento del diritto da parte di colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere”. In altre parole il fatto che il condomino non impugni entro trenta giorni il verbale di approvazione del bilancio in cui è contenuto il suo vecchio debito, si configura come riconoscimento del diritto del condominio a riscuotere tale debito. Insomma un bel rompicapo per amministratori e condòmini anche perché, secondo questa teoria, con l’approvazione di anno in anno del conguaglio non si può più parlare di prescrizione del debito e quindi le quote dovute da ogni singolo proprietario al condominio si cristallizzano nel tempo e sono quindi esigibili in ogni tempo. Sappiamo, tuttavia, che questa interpretazione non appartiene ai principi del nostro ordinamento dove l’imprescrittibilità è riservata unicamente ai diritti indisponibili e a quelli espressamente indicati dalla legge ed i crediti condominiali non appartengono a nessuna di queste categorie. 

E LA CASSAZIONE, BIZZARRA, CI RIPENSA ANCORA! La Suprema Corte ancora più di recente è tornata di nuovo sui propri passi stabilendo che alle spese condominiali è applicabile la disciplina dell’art. 2948 punto 4), secondo il quale, come visto, la prescrizione è di cinque anni per “… tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”, proprio come accade con il pagamento, appunto periodico, delle quote delle spese condominiali, a carico di ogni singolo condomino (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 25 febbraio 2014, n. 4489). Ne consegue che l’amministratore sarà tenuto ad esercitare l’azione per il recupero delle spese condominiali non pagate, contro i condomini morosi, entro il termine di cinque anni. Ma la questione più controversa riguarda il giorno da cui far partire il decorso del quinquennio. Esaminando la sentenza del 2005 si è visto come la Cassazione aveva abbracciato l’orientamento secondo cui suddetto termine prescrizionale sarebbe dovuto decorrere dalla sola delibera dell’assemblea che approvava le spese condominiali, e non a seguito della successiva delibera di approvazione dello stato di riparto, come invece riteneva la precedente pronuncia del 2002. Ora, invece, con questa recente sentenza la Suprema Corte rivede la propria posizione e torna a riconsiderare anche la delibera dello stato di riparto. Insomma, un ritorno alla tradizione e, infatti, il principio è ancora quello secondo cui la decorrenza è da rapportarsi alla data della delibera di approvazione del rendiconto delle spese e del relativo stato di riparto. In particolare gli ermellini hanno osservato che “Va ribadito che, trattandosi di spese condominiali, per loro natura periodiche, trova applicazione il disposto dell’art. 2948 c.c., n. 4 in ordine alla prescrizione quinquennale dei relativi crediti (Cassazione n. 12596/02), la cui decorrenza è da rapportarsi alla data della delibera di approvazione del rendiconto delle spese e del relativo stato di riparto. Tale delibera, costituisce il titolo di credito nei confronti del singolo condomino, dovendosi escludere che delibere successive, concernenti i crediti del condominio nei confronti dell’XXX, per successivi periodi di gestione e diversi titoli di spesa, possano costituire un nuovo fatto costitutivo del credito”.

I CREDITI SONO PRESCRITTI: CHI E’ RESPONSABILE? Per rispondere, dunque, al nostro lettore non posso che affermare, in assenza di una pronuncia delle Sezioni Unite che sarebbe oltremodo auspicabile per esigenze di certezza, che i crediti vantati dal Condominio di cui fa parte, e relativi all’anno di gestione 2008/2009, siano ormai prescritti in assenza di atti formali di interruzione del quinquennio che è cominciato a decorrere dall’approvazione dello stato di riparto della spesa. Naturalmente, a fronte di ciò, il Condominio di cui fa parte Luca subisce inevitabilmente un danno economico. Ci si deve domandare allora in casi come questi chi debba essere ritenuto responsabile. In altri termini è giusto che il Condominio debba sopportare in proprio un mancato recupero dei crediti nei confronti di un proprietario moroso? La prescrizione infatti interviene se il titolare del diritto non lo esercita con le azioni previste dalla legge (in questo caso la messa in mora e l’azione coattiva del recupero del credito); in altre parole la prescrizione, vista come l’impossibilità di far valere un diritto, è per così dire la sanzione prevista per chi si rende inerte e/o o ritarda il suo legittimo esercizio. 

QUI LA RIFORMA NON TACE In ordine alla responsabilità voglio ricordare che con la riforma del condominio entrata in vigore il 18 giugno 2013 il legislatore ha voluto rendere più incisivo il recupero delle spese dei condomini morosi. Infatti il nuovo art. 1129 al comma IX dispone che “salva espressa dispensa dell’assemblea, l’amministartore è tenuto ad agire per la riscossione delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell’art. 63, primo comma, delle disposizioni per l’attuazione del presente codice”. Per completezza di esposizione il richiamato art. 63 delle disposizioni di attuazione del codice civile così recita: “per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può otttenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione…”. Dalla lettura combinata delle due norme si evince chiaramente che all’amministratore compete non solo il dovere di attivarsi per il recupero dei crediti condominiali nei confronti dei proprietari morosi ma tale attività deve essere fatta entro un termine preciso determinato dalla legge ovvero sei mesi dalla chiusura dell’esercizio a cui si riferisce il credito. Poiché si tratta di dovere, all’amministratore non serve alcuna delibera assembleare che lo autorizzi a ciò. Inoltre, come per il passato, l’amministratore per il recupero dei crediti condominiali può avvalersi di un procedimento monitorio rafforzato ovvero può ottenere dal Giudice un decreto di ingiunzione nei confronti dei morosi che, anche in caso di opposizione, è immediatamente esecutivo. Ciò significa che il debitore è costretto comunque a pagare entro il termine di quaranta giorni dalla notifica del decreto per evitare ulteriori azioni esecutive (ad esempio pignoramento mobiliare, immobiliare, presso terzi) a suo carico. Si tratta, come si vede, di una tutela efficace e forte apprestata dall’ordinamento in favore del condominio per consentire in tempi ragionevolmente brevi il pagamento coattivo dei contributi (rate condominiali). 

L’AMMINISTRATORE DISTRATTO RISARCISCE! Risulta, dunque, facile comprendere che se l’amministratore non solo non adempie a quanto disposto espressamente dalla legge ma, addirittura, fa decorrere cinque anni dall’approvazione del riparto delle spese a cui quei crediti si riferiscono (come indicato dalla sentenza della Cassazione civile n. 4489/2014 sopra richiamata) sarà egli stesso civilmente responsabile nei confronti del condominio per il pregiudizio economico arrecato e potrà essere citato in giudizio per il risarcimento del danno. L’unica eccezione a tale ipotesi di responsabilità professionale è un’espressa delibera da parte dell’assemblea che esoneri l’amministratore dal proprio dovere di perseguire in via giudiziale i condomini inadempienti o ritardatari… ma con i tempi che corrono è assai difficile che ciò accada. 

Dottor Massimo Botti - Studio Comite