venerdì 8 luglio 2016

FURTO: IN STATO DI NECESSITÀ NON È REATO


La vicenda di cui si è occupata recentemente la Corte di Cassazione, può ben dirsi rivoluzionaria agli occhi di un giurista e dotata di giustizia sostanziale per un comune cittadino. I giudici di legittimità sono stati chiamati a decidere sul se deve essere sanzionato penalmente un soggetto che si è impossessato, all’interno di un supermercato, di due pezzi di formaggio e una confezione di wurstel, per un valore complessivo di circa quattro euro. Si trattava, in particolare, di un ragazzo straniero, senza fissa dimora né lavoro che, non appena scoperto, prontamente restituiva la merce rubata, pagando solo per ciò che si poteva permettere ossia una confezione di grissini. La Sezione V della Corte di Cassazione, per la prima volta, ha ritenuto di poter assolvere l’imputato per aver commesso il fatto in stato di necessità. Scopriamo insieme i dettagli di questa vicenda…

QUANDO SI PUÒ PARLARE DI STATO DI NECESSITÀ? L’articolo 54 del codice penale intitolato “Stato di necessità” sancisce una causa di giustificazione del reato (detta anche scriminante) che rende lecito un fatto che, in via diversa, ovvero in assenza della causa di giustificazione, andrebbe sanzionato penalmente. Il Legislatore ha ritenuto non punibile chi commette un fatto di reato perché costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, ciò sulla base di un bilanciamento tra gli interessi in gioco. Dunque, perché si possa parlare della sussistenza dello stato di necessità occorre, in primo luogo, che il fatto-reato sia commesso in presenza di una situazione di pericolo che deve essere tanto attuale, ossia immanente, quanto relativo ad un danno grave alla persona. Deve essere, altresì, non volontariamente causata dal soggetto agente. In secondo luogo, affinché il colpevole possa salvarsi dalla condanna, occorre che l’azione lesiva sia assolutamente necessaria, non potendo trovare applicazione l’art. 54 del codice penale tutte le volte in cui l’imputato avrebbe potuto evitare la situazione di pericolo ponendo in essere una condotta diversa e penalmente irrilevante. Infine, è necessario che l’azione lesiva sia proporzionata al pericolo e ciò si spiega in quanto il reato realizzato vede come persona offesa un terzo soggetto, del tutto estraneo alla situazione di pericolo in cui versava il reo.

DANNO GRAVE ALLA PERSONA Il requisito in questione è stato oggetto di diverse rivisitazioni da parte della giurisprudenza, volte ad estenderne la portata o a ridurla. Inizialmente danno grave alla persona era solo quello che toccava i beni della vita e dell’integrità fisica, cosicché la scriminante in esame era circoscritta ad un numero limitato di ipotesi. Successivamente si ritenne di poter applicare l’articolo 54 del codice penale anche quando il danno paventato aveva come oggetto altri beni attinenti alla personalità, quali l’onore, il danno morale e la libertà sessuale. Con l’entrata in vigore della Costituzione e con la necessità di fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata alle diverse norme del nostro codice penale, la giurisprudenza ha esteso il concetto di danno grave alla persona a tutti quei beni legati alla personalità dell’uomo e rientrati nei diritti inviolabili di cui all’articolo 2 della Costituzione. Così, si è iniziato a scusare la condotta penalmente rilevante posta in essere da chi si trovava nella necessità di salvaguardare i propri beni primari collegati alla personalità, quali il diritto all’abitazione e tutti quei beni che concorrono allo sviluppo della singola persona.

L’ORIENTAMENTO FINO AD OGGI PREVALENTE Nonostante tale tesi volta ad estendere l’ambito applicativo della norma, i giudici di legittimità erano sempre fermi nel negare l’operatività di tale scriminante qualora il colpevole avesse agito perché spinto dal proprio stato di indigenza. La ragione di tale limitazione atteneva alla circostanza per cui lo stato di bisogno economico potesse essere, seppur in parte, fronteggiato con strumenti della moderna organizzazione sociale (esempio sono gli istituti di assistenza) e che, pertanto, la situazione di pericolo non fosse inevitabile né dotata di attualità. Inoltre, secondo questo orientamento interpretativo, sarebbe stato difficile identificare lo status di indigente che giustificherebbe l’applicabilità di tale scriminante; in altre parole, sarebbe difficile dire con chiarezza chi possa essere definito indigente e chi no. Tale, pertanto, era la tesi fino ad oggi prevalente in forza della quale a chi versava in situazione di bisogno non si poteva applicare la causa di non punibilità dello stato di necessità, ma si ritenevano operanti altre norme del nostro codice penale (come ad esempio la circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità prevista dall’articolo 62 n. 4 del codice penale o, in caso di furto, l’ipotesi del furto lieve per bisogno disciplinata dall’art 626 n. 2 del medesimo codice).

L’INIZIO DI UN NUOVO FILONE GIURISPRUDENZIALE? La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, sembra aprire le porte ad una nuova applicazione estensiva dell’articolo 54 del codice penale a tutte quelle ipotesi in cui il fatto di reato sia commesso da soggetto in stato di bisogno. Tuttavia occorre essere molto cauti. Ciò perché, in primis, la Cassazione non ha fornito un’ampia motivazione del ragionamento impiegato per assolvere l’imputato dal reato di furto; in secondo luogo, allo stesso risultato o ad uno simile si sarebbe potuti pervenire applicando, ad esempio, la nuova causa di non punibilità disciplinata dall’art 131 bis del codice penale. In parole povere è come se i giudici di legittimità avessero voluto assolvere in forza delle specifiche circostanze concrete in cui si è verificato il furto. E infatti, il reato ha avuto ad oggetto una confezione di wurstel e due di formaggio; il valore complessivo della merce era pari a quattro euro; il soggetto era senza lavoro né casa; recatosi alle casse, aveva comunque pagato per acquistare una confezione di grissini, nascondendo il resto dei prodotti; una volta scoperto, consegnava immediatamente la merce rubata. Si tratterebbe, quindi, di una serie di circostanze che hanno portato i giudici a scusare quel singolo comportamento perché compiuto per far fronte ad un imprescindibile e immanente bisogno di alimentarsi (Cassazione penale, Sezione V, Sentenza del 2 maggio 2016, n. 18248).

IN CONCLUSIONE, per poter affermare davvero che si è in presenza di un giro di boa in ordine all’operatività della scriminante dello stato di necessità occorrerà aspettare un po’ di tempo e monitorare le nuove pronunce dei Tribunali. Solo, infatti, quando questa nuova interpretazione estensiva della norma si sarà consolidata si potrà parlare di vero e proprio orientamento.


Avvocato Licia Vulnera – Redazione Giuridicamente parlando