lunedì 25 luglio 2016

MOLESTIE, NEL NOME DEL FIGLIO!


Avere un coniuge assillante, che ti tempesta di telefonate a qualunque ora della giornata, non è certamente una cosa piacevole. Ancor più, quindi, se lo fa l’ex coniuge. Anzi, in certi casi, si rischia di imbattersi nel reato di molestia. È quanto è accaduto a una donna condannata dal Tribunale per molestie e disturbo a seguito della denuncia presentata dall’ex marito, che lamentava di aver ricevuto per più di un mese ripetute telefonate e messaggi disturbanti da parte della moglie separata, nonostante avesse cambiato più volte il numero di telefono. La frequenza e la continuità delle telefonate dimostravano, infatti, che il mezzo telefonico era stato utilizzato non per uno scopo normale di comunicazione, ma per esercitare un indebito disturbo al destinatario. Posto che il suo fine non era quello di arrecare disturbo, quanto piuttosto di ricercare un contatto con l’ex nell’interesse dei figli, la donna ha fatto ricorso alla Corte di Cassazione. Scopriamo come è finita…
 
QUANDO C’È MOLESTIA? L’art. 660 del codice penale intitolato “Molestia o disturbo alle persone”, dispone che “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a euro 516”. Quindi, perché si possa parlare di reato, è necessario che il comportamento sia connotato dal carattere della petulanza, cioè da quel modo di agire pressante, invadente, ripetitivo, insistente, indiscreto e impertinente che finisce, per il modo stesso in cui si manifesta, per interferire sgradevolmente nell’altrui sfera di quiete e libertà, oppure che sia accompagnato da altro biasimevole motivo, cioè qualsiasi altra motivazione che sia da considerare riprovevole per se stessa o in relazione alla persona molestata, e che è considerata dalla norma come avente gli stessi effetti della petulanza. Sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la coscienza e volontarietà della condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare i terzi. Pertanto, l’elemento psicologico del reato in questione sussiste anche quando l’agente esercita o ritiene di esercitare un suo diritto, se il suo comportamento si estrinseca in forme tali da arrecare molestia o disturbo con lo specifico intento di ottenere, eventualmente per vie diverse da quelle legali, il soddisfacimento di proprie pretese.

IL TELEFONO STRUMENTO MOLESTO La giurisprudenza di legittimità, recependo i progressi della tecnologia, già da qualche anno, ne dà un’interpretazione più ampia ai fini della configurabilità del reato in questione, facendovi rientrare anche gli SMS. Infatti, se ricorrono gli elementi oggettivi e soggettivi, anche l’invio di SMS può essere fonte di molestia o disturbo. Gli SMS, infatti, non possono essere assimilati a messaggi di tipo epistolare, in quanto il loro destinatario è costretto a leggerli o ascoltarli, con il conseguente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, che in tal modo realizza l’obiettivo di recare disturbo al destinatario (ex multis, la più recente Corte di Cassazione, I sezione penale, sentenza n. 26312 del 23/06/2016).

NELLA VICENDA IN ESAME l’imputata si era giustificata con la necessità di ottenere un dialogo funzionale e necessario per il sostentamento e l’educazione dei figli. L’ex marito, infatti, non aveva rispettato l'obbligo di mantenimento e lei era stata sfrattata per morosità e aveva difficoltà a gestire i figli. Da qui, le continue telefonate e gli SMS all’ex, nell’interesse dei figli. Ebbene, se il Tribunale aveva ravvisato in tale comportamento gli estremi del reato di molestia e condannato la donna, la Corte di Cassazione, invece, attraverso un’analisi più sottile e quasi psicologica della storia, la scagiona. A ben vedere, infatti, il marito non era tanto vittima di una molestia oggettiva (seppure umanamente giustificabile e comprensibile), quanto piuttosto percepiva come moleste le continue telefonate e gli SMS in quanto “non gradendo le chiamate le interrompeva”. Ossia, il classico comportamento di chi, finito male il matrimonio, vuole tagliare col passato, figli e responsabilità inclusi, rifiutando come molesto e fastidioso ogni eventuale rigurgito della precedente vita matrimoniale. Tale meccanismo, abilmente colto dai giudici di legittimità, non è quello che intende sanzionare la norma, incentrata sulla molestia dell’atto e non certo sulla percezione che di esso ha il destinatario (Corte di Cassazione, I sezione penale, sentenza n. 26776 del 28/06/2016).

MEGLIO FARE ATTENZIONE a utilizzare il reato di molestia per giustificare o schermare il comportamento di chi, per sottrarsi a precisi obblighi posti a suo carico, rifiuti ogni colloquio con la persona nel cui interesse sussistono certi obblighi.


Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando