mercoledì 7 settembre 2016

FORNITURE LUCE E GAS NON RICHIESTE? ECCO COSA FARE!


Non sono infrequenti, anzi. Tanto che l’AGCM, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha sanzionato con multe salatissime importanti società energetiche per aver utilizzato procedure di contrattualizzazione in violazione delle norme a tutela dei consumatori, limitandoli, se non addirittura aggirandoli, nella libertà di scelta. È lo scotto da pagare per la liberalizzazione del mercato energetico, come già per quello telefonico. Infatti se, da un lato, la sua liberalizzazione ha portato l’indubbio beneficio di eliminare condizioni di monopolio, creare concorrenza e dare ai consumatori la possibilità di scegliere un diverso e più conveniente gestore, dall’altro, ha determinato anche effetti negativi, quali il cosiddetto “turismo energetico” (non si pagano le bollette e, prima che sia sospeso il servizio, si cambia fornitore) nonchè pratiche commerciali molto aggressive, al limite della molestia e, in taluni casi, addirittura ingannevoli e scorrette. È questo il caso delle cosiddette forniture non richieste, ossia contratti non voluti o a cui si è inconsapevolmente aderito. Come può accadere e cosa può fare in questi casi il consumatore?
 
I PROCESSI DI ACQUISTO E CONSUMO si sono notevolmente evoluti negli ultimi anni. Le nuove tecniche commerciali hanno reso sempre più snelle e veloci la trattativa e la negoziazione tra le parti, introducendo nuove modalità di offerta e conclusione dei contratti, come quelli a distanza, raccolti attraverso la rete degli agenti porta a porta o attraverso il canale telefonico (il cosiddetto teleselling in outbound). Tali modalità, però, se, da un lato, agevolano le contrattazioni, dall’altro lato, laddove non utilizzate secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà, possono esporre i consumatori al rischio di formalizzare contratti in assenza di un’adeguata conoscenza ed informazione sulla natura e lo scopo del contatto, le caratteristiche e le condizioni contrattuali dell’offerta o sulla stessa identità dell’interlocutore. Nella peggiore delle ipotesi, addirittura in assenza del loro consenso. Nel primo caso, si avrà solo (si fa per dire) una limitazione della capacità di valutare compiutamente l’offerta e di dare un consenso informato. Nel secondo caso, il consumatore si troverà a ricevere una prestazione non richiesta e non voluta, per la quale verrà preteso un pagamento percepito, evidentemente, come ingiustificato. Nel settore energetico, infatti, ove è prassi stipulare i contratti a distanza o fuori dai locali commerciali, numerosi (e purtroppo sempre attuali) sono i casi di forniture non richieste in capo ad inconsapevoli utenti, il cui consenso o è ottenuto fraudolentemente (pensando di sottoscrivere o accettare altro) o addirittura è alterato/falsato (in assenza di qualsiasi sottoscrizione o con firme falsificate). Al di là degli ovvi profili penalistici che tali pratiche commerciali possono rivestire, i rimedi a cui può ricorrere il malcapitato consumatore sono di due tipi: l’uno giudiziario e l’altro amministrativo.

IL RIMEDIO GIUDIZIARIO… si poggia sulla tutela che il Codice del Consumo espressamente riconosce ai consumatori in caso di forniture non richieste. Nel novellato articolo 66 quinquies, infatti, il Decreto Legislativo n. 206/2005, seppure per i soli clienti domestici, testualmente esonera “dall’obbligo di fornire qualsiasi prestazione corrispettiva in caso di fornitura non richiesta di beni, acqua, gas, elettricità, teleriscaldamento o contenuto digitale o di prestazione non richiesta di servizi”, in quanto vietata dagli articoli 20, comma 5, e 26, comma 1, lettera f), del Codice medesimo, riguardanti appunto le pratiche commerciali ingannevoli e aggressive, considerate scorrette. Per il Codice del Consumo, infatti, se la fornitura non è stata richiesta, ma è solo l’effetto di una pratica commerciale scorretta, di fatto all’offerta contrattuale non ha corrisposto alcuna accettazione e, quindi, nessun accordo contrattuale si è perfezionato. E, senza accordo, la fornitura non va pagata, a nulla valendo quindi, in senso contrario, l’obiezione, sollevata da qualche operatore economico che, seppure non richiesta, la fornitura è stata comunque resa e, quindi, la prestazione va remunerata. D’altronde, per il Codice del Consumo, anche il silenzio del consumatore (che può essere all’oscuro di tutto) non può costituire consenso (che deve essere espresso, prima o al momento della conclusione del contratto), senza il quale l’operatore economico non può adempiere eseguendo una fornitura diversa da quella pattuita, anche se di valore e qualità equivalenti o superiori. Il silenzio quindi rimane silenzio, non vale assenso, non integra un accordo orale né un comportamento concludente (per facta concludentia) (così, Tribunale Civile di Benevento, Sentenza n. 1403/2013; Tribunale Civile di Benevento, Sentenza n. 1490/2013; Giudice di Pace di Pisa, Sentenza n. 859/2014).

…E QUELLO AMMINISTRATIVO è quello previsto e gestito dall’AEEGSI, l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, nella Delibera del 19/04/2012 n. 153/2012/R/com. Esso consiste in un meccanismo di “ripristinoautomatico del contratto con il precedente venditore (voluto), che si attiva su reclamo del cliente, ma è efficace solo se il venditore contestato accoglie tale reclamo o non fornisce una documentazione idonea ed esaustiva a dimostrare che l’acquisizione del cliente reclamante sia stata effettuata correttamente. È evidente che si tratta di un rimedio meno efficace di quello offerto dal Codice del Consumo, in quanto l’obiettivo che con esso l’Autorità persegue non è quello di verificare l’esistenza di una fornitura non richiesta ai sensi del Codice del Consumo e di sanzionarne le sottostanti  pratiche commerciali scorrette con il mancato pagamento di qualunque prestazione corrispettiva, ma, piuttosto, di favorire la composizione volontaria delle controversie che insorgono tra imprese e clienti finali nei settori dell’energia elettrica e del gas in materia di contratti. Da qui, pertanto, la centralità dell’adesione al reclamo da parte del venditore non voluto e l’imprescindibilità del pagamento della fornitura ricevuta, seppure al “prezzo di tutela” (cioè quello indicato dall’Autorità) e scontato della quota di remunerazione dell’attività del venditore.

UNO NON ESCLUDE L’ALTRO I due rimedi, infatti, anche se agiscono su piani differenti, hanno efficacia e finalità diverse, sono tra loro complementari. La stessa AEEGSI, d’altronde, ha precisato che il meccanismo del ripristino automatico non costituisce una deroga dall’applicazione dell’articolo 66 quinquies del Codice del Consumo, ma rappresenta un ulteriore strumento di tutela del cliente finale, non sovrapponibile a quelli previsti dall’ordinamento (quali la tutela giudiziaria e le disposizioni del Codice del Consumo). Tale ampiezza di tutele, naturalmente, non deve esimere gli operatori economici dal tenere comportamenti sempre trasparenti, corretti e leali e dal non distorcere il mercato, né i consumatori dal prestare massima attenzione alle offerte commerciali nonché quando comunicano i propri dati personali o di fornitura e quando prestano il proprio consenso.


Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando