mercoledì 16 novembre 2016

CONDOMINIO: HOME RESTAURANT SOLO SE IL REGOLAMENTO NON LO VIETA!


Avete mai sentito parlare di sharing economy? È un nuovo modello economico basato sul riuso e sulla condivisione di beni, servizi o conoscenze, con effetti positivi sia in termini economici sia in termini di impatto sull’ambiente. Ne sono esempi molto noti il co-working ed il car-pooling, che consistono rispettivamente nella condivisione, tra persone appartenenti a diverse realtà lavorative e tra loro estranee, dell’ambiente di lavoro o di automobili private, allo scopo principale di ridurre le spese di affitto, organizzazione o trasporto. Ma, da qualche anno si è fatto largo anche l’home restaurant, cioè l’utilizzo della propria abitazione privata per svolgere attività di ristorazione. Nato timidamente come un modo per far fronte alla crisi economica, si è rapidamente diffuso tanto da richiedere una disciplina normativa, proprio in questi giorni in discussione in Parlamento. Presto quindi potremo ritrovarci in condominio ristoranti casalinghi, con odori, rumori ed avventori ad animare i pianerottoli. Ma il condominio si potrebbe opporre a tutto ciò?

UN FENOMENO RELATIVAMENTE RECENTE attualmente privo di una specifica disciplina normativa che non è stato ancora oggetto di pronunce giurisprudenziali che ne abbiano esaminato aspetti e dinamiche peculiari o che si siano occupate di problematiche condominiali causate dal fenomeno, per la cui risoluzione comunque non si potrà che fare riferimento alla disciplina generale in materia di proprietà e rapporti di buon vicinato. Qualche spunto interessante, però, lo offre una recente sentenza della Corte di Cassazione, che, sebbene ancora lontana dallo specifico fenomeno, si è occupata di un caso che molto gli si avvicina e che potrebbe essere di riferimento per quei condomìni non proprio favorevoli ad ospitare l’esercizio di questa attività. Nella questione affrontata, infatti, si trattava di una lite condominiale insorta a causa delle intollerabili immissioni di rumori lamentate da un condòmino e provenienti da un appartamento confinante, adibito, dai suoi proprietari e in asserita violazione del regolamento condominiale, a pizzeria mediante la creazione di una scala di collegamento interna con il sottostante locale terraneo, a sua volta adibito a ristorante pizzeria (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 20 ottobre 2016, n. 21307).

SOLO UN DIVIETO DICHIARATO espressamente nel regolamento condominiale può impedire lo svolgimento di un’attività commerciale in un’abitazione privata. È, questa, la conclusione a cui sono pervenuti i giudici di legittimità con la sentenza. Se il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condòmini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà (sia mediante elencazione delle attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare), il medesimo deve indicarli in maniera chiara ed univoca. Pertanto, bisogna evitare interpretazioni di carattere estensivo, sia per quanto attiene all’ambito delle limitazioni imposte alla proprietà individuale, ma ancor più per quanto riguarda la corretta individuazione dei beni effettivamente assoggettati alla limitazione circa le facoltà di destinazione, di norma spettanti al proprietario. Al contrario, la mancanza di una previsione espressa di un limite, altro non è che l’indice della volontà di mantenere intatte le facoltà tipiche del diritto di proprietà. Il silenzio vale solo silenzio (Cassazione civile, Sezione VI, Ordinanza dell’11 settembre 2014, n. 19229).

UN'ATTIVITÀ ATIPICA e non proprio equiparabile all’attività di ristorazione vera e propria quale è quella oggetto della sentenza ora ricordata. L’home restaurant, infatti, in quanto svolto in casa e quindi caratterizzato dalla saltuarietà dell’attività, non solo non vale a modificare la destinazione abitativa dell’immobile che lo ospita, ma probabilmente risulta anche meno invasivo e disagevole nei confronti del condominio. Lo stesso disegno di legge in discussione in Parlamento, d’altronde, ha fissato limiti talmente stringenti al suo esercizio (per esempio, il numero di coperti e gli incassi realizzabili nell’anno), da confinarlo ad un’attività quasi occasionale, sebbene comunque commerciale. Il Ministero dello Sviluppo Economico, infatti, nella Risoluzione n. 50481 del 10 aprile 2015 (l’unico atto ufficiale in materia di ristoranti casalinghi), ha ritenuto che l’attività di home restaurant (o di cuoco a domicilio), sebbene esercitata solo in alcuni giorni dedicati e fruita da un numero limitato di soggetti, non può che essere classificata come un’attività di somministrazione di alimenti e bevande. Infatti, anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, si tratta pur sempre di locali attrezzati aperti alla clientela, che versa il corrispettivo di un prezzo, configurando pertanto l’attività quale attività economica in senso proprio.

PER CONCLUDERE sebbene occasionale e di scarso rilievo, l’attività di home restaurant ben potrebbe essere ostacolata e di fatto impedita da una espressa norma del regolamento condominiale, che vieta l’esercizio al suo interno di ogni attività economica e ogni utilizzo degli immobili privati che non sia esclusivamente o strettamente abitativo.


Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando