lunedì 28 novembre 2016

LAVORO: TRUFFATORI I FURBETTI DEL CARTELLINO!


Sui furbetti del cartellino si è detto ogni genere di commento negativo. Condannati dall’opinione pubblica, malvisti dai colleghi onesti, stanati dai datori di lavoro anche con l’utilizzo di investigatori privati, incarnano il dipendente infedele per eccellenza, quello che consapevolmente e intenzionalmente pone in essere condotte di mala fede e slealtà nei confronti del datore di lavoro tali da incidere sul rapporto fiduciario e che, per questo, è meritevole di licenziamento. Ma una recente sentenza della Corte di Cassazione ha evidenziato la rilevanza anche penale di una tale condotta, che, ove si traduca in un danno economicamente apprezzabile per il datore di lavoro, configurerebbe il reato di truffa aggravata. Cerchiamo, allora, di capire meglio.
 
LA VICENDA esaminata dalla sentenza in questione riguarda alcuni dipendenti che, sia in primo che in secondo grado di giudizio, erano stati condannati per truffa continuata ed aggravata, secondo quanto previsto dagli articoli 81, secondo comma, e 640, secondo comma numero 1, del codice penale. Essi, infatti, dipendenti di un ente pubblico, avevano commesso, con più azioni ed omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso ed in tempi diversi, più violazioni della stessa legge. In particolare, con artifici e raggiri, consistiti nell’omessa annotazione sul cartellino elettronico di allontanamenti intermedi dal posto di lavoro, essi avevano attestato falsamente la propria presenza in ufficio inducendo in errore l’amministrazione di appartenenza e procurandosi così un ingiusto vantaggio patrimoniale, pari alla retribuzione indebitamente percepita per i periodi di tempo durante i quali si erano allontanati ingiustificatamente dal posto di lavoro. La Corte di Cassazione ha pienamente condiviso tale valutazione della vicenda ed il suo conseguente inquadramento giuridico, ritenendo manifestamente infondati ed inammissibili i motivi di ricorso addotti dagli imputati (Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza del 09/11/2016, n. 46964).

IN VIA DI PRINCIPIO, infatti, i giudici di legittimità, richiamandosi ad altre pronunce emesse per fattispecie simili, hanno ribadito che la falsa attestazione del pubblico dipendente relativa alla sua presenza in ufficio, riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, integra il reato di truffa aggravata se il soggetto si allontana senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza. Infatti, l’omessa timbratura del cartellino, in occasione di allontanamenti intermedi del dipendente, impedisce il controllo, da parte di chi è tenuto alla retribuzione, sulla quantità dell’attività lavorativa prestata, sia per un eventuale recupero del periodo di assenza (ove previsto), sia per una detrazione correlativa dal compenso mensile, costituendo pertanto una condotta idonea a trarre in inganno ed a far conseguire ingiusti profitti. Inoltre, una siffatta omissione è ancor più giuridicamente rilevante se si pensa che il dipendente (nella specie) pubblico è tenuto ad uniformarsi ai principi di correttezza anche nella fase esecutiva del contratto e, pertanto, ha l’obbligo giuridico di portare a conoscenza della controparte del rapporto di lavoro non soltanto l’orario di ingresso e quello di uscita, ma anche quello relativo ad allontanamenti intermedi tramite i sistemi all’uopo predisposti, quindi, mediante la corretta timbratura del cartellino segnatempo o della scheda magnetica, ove installati, o con ogni altra procedura equivalente, a condizione che questa sia formale e probatoriamente idonea ad assolvere alla medesima funzione (Corte di Cassazione, quinta sezione penale, sentenza del 10/02/2016, n. 5550; Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza del 10/08/2016, n. 34773).

UN DANNO ECONOMICAMENTE APPREZZABILE! Tuttavia, perché possa configurarsi l’ipotesi delittuosa sopra descritta, per la Corte di legittimità è necessario che i periodi di assenza, abusivamente fruiti dal dipendente, siano economicamente apprezzabili, nell’arco del periodo retributivo. Cosa significa economicamente apprezzabile? Per i giudici di legittimità, anche 1’indebita percezione di poche centinaia di euro, corrispondente alla porzione di retribuzione conseguita in difetto di prestazione lavorativa, costituisce un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione pubblica, in quanto danno apprezzabile non è sinonimo di danno rilevante, non limitandosi il concetto alla mera consistenza quantitativa ma investendo tutti gli aspetti pregiudizievoli per il patrimonio. Infatti, ciò che rileva a questi fini è che l’inadempienza del pubblico dipendente all’obbligo di prestare servizio secondo l’orario d’ufficio arreca di per sé un danno alla amministrazione, essendo detto orario di lavoro prestabilito proprio in funzione delle esigenze dell’amministrazione stessa, evidentemente disattese o addirittura danneggiate dalle fraudolente assenze del dipendente.

IN SINTESI anche l’allontanamento di poche ore da parte del dipendente pubblico può valere a configurare un danno economicamente apprezzabile per l’amministrazione, a nulla valendo, per escludere il reato in questione e per dare un alibi alla omessa timbratura dell’assenza, la specifica tipologia dell’attività lavorativa che ne consente uno svolgimento sia all’interno sia all’esterno dell’ufficio. Anche in tal caso, infatti, le uscite del dipendente devono essere supportate da idonea comunicazione e/o giustificazione documentale, oltre che accompagnate anche dal mero fatto visivo di vederlo portare “fogli in mano, segno inequivoco di interesse lavorativo nell’uscita” (Corte di Cassazione, seconda sezione penale, sentenza del 11/07/2016, n. 28784).


Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando