venerdì 11 novembre 2016

LOCALI PUBBLICI: RUMORI NOTTURNI E MOLESTI, IL REATO C’È


Capita spesso, ad alcuni di noi, di non riuscire a riposare la notte a causa dell’eccessivo rumore proveniente dai locali pubblici sotto la nostra abitazione o per via dei suoi frequentatori. Le forze dell’ordine, chiamate per risolvere la situazione, sono spesso con le mani legate, avendo i gestori delle attività commerciali tutti i permessi per restare aperti fino a tarda ora. Sembrerebbe che non ci sia alcuna via di scampo. Ma è realmente così? Il famoso meritato riposo è un’utopia per chi abita nelle vicinanze di un locale della movida notturna? La Corte di Cassazione Penale, di recente, ha tuttavia dato una speranza...

COSA DICE LA LEGGE? L’art. 659 del codice penale sanziona la condotta di chi arreca disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone mediante schiamazzi, rumori o abusando di strumenti sonori. Trattasi di una contravvenzione concernente l’ordine pubblico e la tranquillità pubblica, la cui violazione è punita con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino ad euro 309. A tale reato, si aggiunge quello previsto dal secondo comma dello stesso articolo che, a sua volta, sanziona il fatto di chi esercita una professione o un mestiere rumoroso in violazione della legge o delle prescrizioni dell’autorità. Le due contravvenzioni hanno, come si evince dalla semplice lettura, un diverso ambito applicativo. Ad esempio, la condotta prevista dal comma 1 può essere integrata da chiunque richiedendosi, però, alcune tassative modalità; mentre il secondo comma si riferisce espressamente a una determinata categoria di soggetti. Le due ipotesi contemplate dalle norme appena citate integrano dei reati di pericolo concreto e pertanto, perché possano dirsi verificati, è necessario che la condotta sia potenzialmente idonea a propagarsi e a disturbare un numero indefinito di persone. Tale attitudine deve, però, essere dimostrata in termini di concreta sussistenza.

MA NON C’È SOLO IL CODICE PENALE… L’Art. 10 della Legge 447 del 1995, al secondo comma, prevede che “Chiunque, nell’esercizio o nell’impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori limite di emissione o di immissione di cui all'articolo 2, comma 1, lettere e) e f), fissati in conformità al disposto dell'articolo 3, comma 1, lettera a), è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire 1.000.000 a lire 10.000.000”.Si tratta di un illecito amministrativo per il quale vige il principio di specialità di cui all’art 9 della Legge 689/1981. Occorre, pertanto, interrogarsi sul rapporto esistente tra le condotte previste e punite dal codice penale e quella, invece, disciplinata dalla Legge del 1995.

I DUE CONTRAPPOSTI ORIENTAMENTI Le ipotesi prese in esame tutelerebbero beni giuridici diversi. E infatti, le contravvenzioni di cui all’art 659 del codice penale proteggono la tranquillità pubblica essendo previste al fine di impedire che schiamazzi, rumori molesti e altro possano arrecare un disturbo al riposo delle persone o alle occupazioni. L’illecito amministrativo previsto dall’art 10 della Legge n. 447, invece, sembrerebbe essere posto a garanzia del generico diritto alla salubrità ambientale, prevedendo limiti di tollerabilità delle immissioni sonore il cui superamento genera inquinamento acustico. Seguendo tale tesi si potrà condannare, secondo la previsione dell’art. 659 del codice penale “allorquando l'inquinamento acustico è concretamente idoneo a recare disturbo al riposo e alle occupazioni di una pluralità indeterminata di persone” (Cassazione penale, Sezione III, Sentenza dell’8 aprile 2015, n. 15919). Altra tesi, invece, ritiene che la contravvenzione di cui al secondo comma dell’art 659 del codice penale sia stata oggi abrogata dalla Legge del 1995 e, conseguentemente, in presenza di una condotta di disturbo derivante dal superamento dei limiti di legge troverebbe applicazione la sanzione prevista per gli illeciti amministrativi.

LA RECENTE TESI DELLA CASSAZIONE I giudici di legittimità recentemente hanno deciso di seguire un indirizzo intermedio, sviluppatosi negli ultimi anni. In particolare, si afferma che le disposizioni penali e quella extrapenale hanno diversi ambiti applicativi: l’art 10 della L. del 1995 troverebbe impiego allorquando la condotta posta in essere superi i limiti differenziali di rumore prescritti dalla legge; quanto alle previsioni penali invece, da un lato, il comma 1 dell’art 659 si applicherebbe ogni qual volta il fatto illecito sia qualcosa di diverso e di ulteriore rispetto al mero superamento della soglia di tollerabilità legale e, dall’altro, il comma 2 del medesimo articolo atterrebbe alle ipotesi in cui la condotta violi prescrizioni diverse da quelle riguardanti i limiti legali. Da ciò ne deriverebbe che un concorso tra fattispecie penale e illecito amministrativo sarebbe teoricamente possibile; tuttavia, in concreto, prevale quest’ultimo in forza del principio di specialità.

IL CASO dal quale è scaturita la sentenza in commento riguardava il gestore di un locale commerciale che, in primo grado, veniva condannato dal Tribunale di Milano per la contravvenzione di cui all’art 659 comma 1. La condotta contestatagli era quella di aver disturbato la quieta pubblica attraverso l’inquinamento acustico prodotto dal proprio locale e causato dal superamento dei limiti di cui ad un decreto del 1997. La Cassazione, aderendo alla tesi intermedia sopra esposta, ha rigettato il ricorso dell’imputato ed ha confermato la condanna secondo la previsione dell’art. 659 comma 1. In particolare, i giudici hanno affermato che si era perpetrato un grave pregiudizio per la quiete e la tranquillità pubblica e che il riferimento al decreto del 1997 aveva, meramente, una valenza probatoria atto a dimostrare il danno prodotto (Cassazione penale, Sezione III, Sentenza del 6 ottobre 2016, n. 42063).

IL FATTO PUÒ ESSERE TENUE? La Corte di Cassazione si è interrogata anche sulla possibilità di applicare, al caso in commento, la causa di non punibilità legata alla particolare tenuità del fatto. La risposta è negativa: la condotta del gestore non è occasionale e sporadica, bensì costante per un considerevole lasso di tempo e quindi rilevante al punto da non poter essere invocata la causa di non punibilità.


Avvocato Licia Vulnera – Redazione Giuridicamente Parlando