venerdì 16 dicembre 2016

SEPARAZIONE: I FIGLI POSSONO VIVERE ANCHE CON IL PAPÀ!


La separazione è già un evento traumatico di per sé, un vero e proprio lutto, difficile da affrontare, metabolizzare e superare. Devastante sotto molteplici punti di vista. L’economia domestica si sfalda, l’anima si lacera di fronte alla presa di coscienza del fallimento di un progetto di vita comune in cui si credeva, la rabbia, comune a molti, per non essere stati capaci di ricucire le incomprensioni. Talvolta il rammarico per ciò che non è stato. Ma le relazioni diadiche, vale a dire di coppia, formali o di fatto che siano, proprio perché composte da monadi, elementi unici, pensanti, incapaci di organizzarsi e procedere all’unisono, spesso sono destinate a disgregarsi, per i motivi più diversi. Il lutto che ne deriva porta inevitabilmente con sé molte paure. La più grande è quella di perdere la relazione filiale, composta di meravigliosa, seppur complicata, quotidianità. Un sentimento ricorrente soprattutto nella componente maschile della coppia. Oggi più che mai. Il dinamismo sociale ha voluto e preteso padri presenti, collaborativi e compartecipativi della crescita dei figli sulla base del criterio, necessariamente giusto, della condivisione dei compiti di cura. Anche il diritto si è dunque adeguato a questa evoluzione di pensiero recependo l’esigenza di tutelare i minori affinché sia garantita loro parità di relazione con padre e madre. Ma è proprio così?
 
LA PARITÀ GENITORIALE! Sulla base del criterio della bigenitorialità, introdotto dalla Legge n. 54 del 2006 e sviluppato poi dalle successive norme contenute nella Legge n. 219 del 2012 e nella Legge 154 del 2013, il nostro ordinamento giuridico ha recepito il principio dell’affido condiviso o congiunto. Ciò significa che l’affidamento dei figli, in caso di separazione e divorzio, ma anche in ipotesi di disgregazione della famiglia di fatto con prole, non segue più, come un tempo, la regola dell’affido esclusivo legato all’idea che il binomio collocamento dei figli – affidamento non potesse e dovesse essere scisso seppur mantenendo i genitori l’esercizio congiunto della vecchia potestà genitoriale attualmente, mi viene da dire in modo fortunato, sostituita dalla più coerente figura della responsabilità genitoriale. Oggi, dunque, i figli di coppie disgregate vengono congiuntamente affidati a madre e padre che esercitano paritariamente la loro responsabilità genitoriale. In tal modo entrambi dovranno ed avranno il diritto di contribuire al progetto di crescita dei loro figli affinché lo sviluppo psico-fisico di questi ultimi risulti equilibrato e sano.

AFFIDAMENTO NON È COLLOCAMENTO! In ogni provvedimento giudiziario, o accordo ratificato, in cui si dispone l’affido condiviso, sulla base del criterio della parità genitoriale, il giudice o le parti dovranno individuare, nell’esclusivo interesse della prole, il genitore presso il quale i figli dovranno fissare la loro abituale residenza, vale a dire appunto il loro collocamento. In generale si può dire che il nostro ordinamento preveda tre forme di collocamento dei figli; quello prevalente presso l’abitazione di uno o dell’altro genitore (più consueto), quello alternato per il quale il minore vive per periodi alterni presso ciascuno dei genitori (meno praticato poiché costringe i figli a continui cambi di residenza e gestione delle quotidiane attività) ed infine quello invariato in base al quale sono padre e madre a muoversi da casa secondo turni prestabiliti mentre i figli restano nel loro ambiente domestico, conservando in tal modo le loro abitudini ed i propri interessi (solitamente frutto di un accordo della coppia ma visto con poca simpatia da parte dei giudici poiché spesso genera conflitti legati appunto alla suddivisione dei periodi ed ai fastidi connaturati all’alternanza dell’allontanamento da casa di uno e dell’altro).

LA SCELTA DEL GENITORE Laddove sorga conflitto con riguardo al collocamento dei figli, i giudici hanno ritenuto che lo stesso debba essere stabilito tenendo conto del criterio, formatosi nella giurisprudenza, secondo il quale l’individuazione del genitore collocatario deve essere effettuata sulla base di un giudizio prognostico riguardo alla capacità del genitore medesimo di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione conseguente al fallimento dell’unione. Tale giudizio deve formarsi su elementi concreti, risultanti non soltanto dalle modalità con le quali ciascuno dei genitori ha svolto i propri compiti in passato, ma anche dalla capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione, disponibilità ad un rapporto assiduo, personalità del genitore, consuetudini di vita dello stesso, ambiente sociale e familiare che il genitore è in grado di offrire al figlio minore (Corte di Cassazione, nella Sentenza n. 18817 del 23 settembre 2015).

CAMBIO DI TENDENZA Se la prassi di anni ed anni di giurisprudenza indica la madre come scelta naturale in materia di collocamento, oggi si assiste ad un positivo, a mio avviso, cambio di rotta. Non si può certo dire che si tratti di una svolta, tuttavia è pacifico che una timida inversione di tendenza vi sia stata. Alcuni giudici, infatti, nell’ipotesi in cui entrambi i genitori si erano rivelati idonei alla cura dei figli hanno optato per il collocamento presso la residenza paterna con conseguente obbligo di contribuzione al mantenimento a carico della madre. In particolare, di recente il Tribunale etneo di Catania ha osservato che “…Vi è una tendenza diffusa ad affrontare il tema del collocamento dei figli sulla base di un non confessato pregiudizio di fondo per il quale: 1) i figli piccoli “sarebbero” principalmente delle madri; 2) ai padri verrebbe solo “consentito” di esercitare i loro diritti/doveri; 3) il collocamento “naturale” dei figli dovrebbe essere presso la madre; 4) il collocamento presso il padre dovrebbe ritenersi “innaturale” ed “eccezionale” e il provvedimento che lo dispone abbisognevole di motivazioni particolari e straordinarie, mentre invece lo stato del diritto e dei principi etici generalmente condivisi nel nostro Paese è al contrario, poiché i figli sono di entrambi i genitori, che hanno uguali diritti e uguali doveri e, in mancanza di prove del contrario, entrambi sono idonei ad esercitare le loro responsabilità e a divenire collocatari dei figli” (Tribunale di Catania, decisione del 2 dicembre 2016, dott. Felice Lima; nello stesso senso Tribunale di Milano, Decreto del 19 ottobre 2016; Tribunale di Bergamo, Sentenza del 15 settembre 2016; Tribunale di Alessandria, 28 settembre 2016; Cassazione civile, Ordinanza del 16 novembre 2016, n. 23324; Tribunale di Milano, Sezione IX civile, Decreto del 14 gennaio 2015).

UN’INTERESSANTE CONSIDERAZIONE! Sempre secondo il Tribunale etneo “una maggiore ricorrenza statistica di provvedimenti giudiziari di collocamento dei figli presso i padri contribuirebbe, peraltro, alla diminuzione del numero di “padri disimpegnati” e “madri proprietarie” che tanti danni arrecano all’educazione e serena crescita dei figli minorenni” (Tribunale di Catania, decisione del 2 dicembre 2016, dott. Felice Lima). Tale considerazione ristabilisce indubbiamente la par condicio voluta dal legislatore, tra i coniugi in procinto di separarsi, i quali, tenendo conto di tali riflessioni, sarebbero certamente più attenti e collaborativi nel ricercare soluzioni condivise. In sintesi, si può dire che, com’era auspicabile che fosse, il concetto di maternal preference si sta lentamente sgretolando. Il Tribunale meneghino, con il piglio avveniristico che spesso lo caratterizza ha, infatti, molto acutamente osservato che “Il principio di piena bigenitorialità e quello di parità genitoriale hanno condotto all’abbandono del criterio della “maternal preference” a mezzo di “gender neutral child custody laws”, ossia normative incentrate sul criterio della neutralità del genitore affidatario, potendo dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore, il genitore di prevalente collocamento, non potendo essere il solo genere a determinare una preferenza per l’uno o l’altro ramo genitoriale” (Tribunale di Milano, Decreto del 19 ottobre 2016). Ciò significa che non va privilegiato il ruolo della madre di per sé stesso assunto!


Avvocato Patrizia Comite - Studio Comite