lunedì 16 gennaio 2017

LAVORO: SE LA TEMPERATURA DEI LUOGHI DI LAVORO NON È ADEGUATA


Il freddo straordinario che, dal periodo natalizio, sta sferzando anche regioni d’Italia in cui normalmente gli inverni sono ben più miti e temperati, sta creando non pochi disagi anche in quelle che sono le normali attività quotidiane: nei trasporti, nella circolazione stradale, nelle erogazioni energetiche, finanche nelle scuole. Queste ultime, infatti, a causa di malfunzionamenti degli impianti di riscaldamento (alcuni provocati proprio dalle proibitive temperature di queste ultime settimane), non hanno ancora ripreso a funzionare pienamente, nonostante siano ormai finite le vacanze natalizie. Aperte e poi richiuse ovvero non riaperte affatto, nelle scuole è come se si fosse ancora in vacanza, per alunni e personale, docente e non. Ma, ove non vi fosse un espresso provvedimento di sospensione delle attività lavorative da parte del datore di lavoro, i lavoratori potrebbero legittimamente astenersi dal lavoro a causa del freddo per il malfunzionamento dell’impianto? E, più in generale, l’assenza di un idoneo ed attivo impianto di riscaldamento può far insorgere una qualche responsabilità in capo al datore?
 
GLI OBBLIGHI CONTRATTUALI L’art. 2087 del codice civile pone a carico del datore di lavoro l’obbligo (contrattuale) di assicurare condizioni di lavoro idonee a garantire la sicurezza delle lavorazioni e di adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Quindi, il datore di lavoro ha un preciso obbligo di proteggere il lavoratore e di assicurargli condizioni di lavoro idonee sotto il profilo della sicurezza e della tutela della salute, adottando pertanto ogni misura a tal fine necessaria, anche in funzione di prevenzione degli infortuni. A rafforzare, ampliare e rendere ancor più efficace tale obbligo normativo, è intervenuto, dopo una lunga evoluzione legislativa, il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Tra i numerosi obblighi che esso pone in capo al datore di lavoro, vi è anche quello di garantire ai luoghi di lavoro precisi requisiti di salute e sicurezza (artt. 63 e 64), che, elencati e dettagliati espressamente nel suo Allegato IV, riguardano anche la temperatura dei locali (punto 1.9.2.), che “deve essere adeguata all’organismo umano durante il tempo di lavoro, tenuto conto dei metodi di lavoro applicati e degli sforzi fisici imposti ai lavoratori”, attraverso l’adozione di misure e accortezze prescritte anch’esse dalla norma. Da tali puntuali e stringenti obblighi normativi, pertanto, la giurisprudenza fa discendere conseguenze e responsabilità precise a carico del datore di lavoro in caso di inadempimento o non esatto adempimento.

SUL PIANO CIVILISTICO infatti la Cassazione ha ritenuto non solo che la violazione dell’obbligo (anche solo) generale sancito dall’art. 2087 cod. civ. legittima i lavoratori a non eseguire la prestazione lavorativa, sul presupposto che il datore di lavoro è inadempiente, ma anche che, in tal caso, i lavoratori mantengono il diritto alla retribuzione, in quanto al lavoratore non possono derivare conseguenze sfavorevoli in ragione della condotta appunto inadempiente del datore di lavoro. I giudici di legittimità, confermando peraltro una giurisprudenza precedente pressoché unanime, sono giunti a tale conclusione proprio occupandosi di una questione molto simile a quella prospettata nel quesito di partenza. Si trattava, infatti, di una controversia lavorativa insorta a seguito del mancato pagamento della retribuzione in ragione ed a seguito della astensione dal lavoro dei lavoratori a causa del freddo nell’ambiente di lavoro per il malfunzionamento della caldaia. In particolare, i lavoratori non avevano proclamato alcuno sciopero, ma si erano solo astenuti dal lavoro per l’impossibilità della prestazione dovuta alla temperatura troppo bassa nell’ambiente di lavoro. Ebbene, la Cassazione, confermando peraltro i due precedenti gradi di giudizio, ha dato ragione ai lavoratori essendo stato accertato che la temperatura era significativamente bassa in considerazione della stagione e della eccezionalità della temperatura del giorno, tanto che l’azienda aveva ritenuto legittima l’interruzione dell’attività lavorativa di un altro settore (Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 01/04/2015, n. 6631; ma si vedano pure Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 07/05/2013, n. 10553; Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 10/08/2012, n. 14375; Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 18/05/2006, n. 11664; Cassazione civile, Sezione Lavoro, Sentenza del 09/05/2005, n. 9576).

MA ANCHE SUL PIANO PENALISTICO la Cassazione ha riconosciuto una chiara responsabilità in capo al datore di lavoro, per gli infortuni subiti dal lavoratore (anche se dallo stesso causati), che, per sopperire alla inadeguatezza delle temperature negli ambienti di lavoro in relazione alle proprie prestazioni lavorative, abbia provveduto altrimenti ad adeguarle in modo da renderle meno disagevoli allo svolgimento delle proprie mansioni. Ciò soprattutto se tale comportamento - sia pure imperito, imprudente o negligente - del lavoratore fosse ben prevedibile dal datore, che, ciò nonostante, non ha adottato le conseguenti misure preventive/correttive (Corte di Cassazione, Sez. Penale, sentenza del 21/11/2013, n. 9319).

È CHIARO che si tratta di casi e situazioni estreme. Generalmente, e se non ci sono particolari attriti o ben più gravi problematiche di fondo, c’è una certa tollerabilità delle condizioni microclimatiche in cui si lavora ed una maggiore collaborazione tra lavoratori e datore di lavoro, per il quale in ogni caso la responsabilità ex art. 2087 cod. civ. insorge laddove non fornisca la prova di aver adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute e dell’integrità dei lavoratori.


Avvocato Gabriella Sparano  - Redazione Giuridicamente parlando