lunedì 27 febbraio 2017

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE, MA COS’È?


Non ha nulla a che fare con il traffico urbano e non indica neppure una vendita illecita di influenze fasulle per lavoratori assenteisti. In realtà, questa espressione suggestiva ed affascinante, ma sconosciuta ed insignificante per i più, altro non è che il nome di un reato introdotto dalla Legge Severino, che ha riformato la disciplina di vari reati contro la pubblica amministrazione. L’occasione per venirne a conoscenza è stata fornita dal clamore mediatico che sta accompagnando la notizia di un’inchiesta per corruzione negli appalti delle pubbliche amministrazioni, che vedrebbe coinvolto anche il padre dell’ex Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Vediamo, allora, di cosa si sta parlando ed in cosa consista esattamente questo reato.
 
LE RELAZIONI E LE PROMESSE Tale ipotesi di reato disciplinato dall’articolo 346 bis del codice penale, si configura per chi, sfruttando relazioni esistenti con un pubblico ufficiale o con un incaricato di un pubblico servizio, indebitamente fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio. La pena prevista è la reclusione da uno a tre anni. Oggetto della condotta illecita così sanzionata ed essenza stessa del reato in questione è, quindi, la promozione di un accordo corruttivo, un’indebita mediazione verso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio (e non in genere verso un qualsiasi dipendente pubblico, cioè un “pubblico impiegato”), diretta ad alterare un’attività amministrativa che, ai sensi dell’articolo 1 della legge n. 241/1990, deve perseguire i fini determinati dalla legge e deve essere sempre retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza.

L’ATTO DI UFFICIO rappresenta quindi l’obiettivo finale a cui mira la condotta illecita sanzionata dal reato in esame, venendo ad essere eluso, omesso, tardato o stravolto, a seconda dell’interesse particolare del compratore di influenze, sponsorizzato e promosso dal mediatore. Il concetto di atto di ufficio comprende una vasta gamma di comportamenti umani, effettivamente o potenzialmente riconducibili all’incarico del pubblico ufficiale. Secondo la dottrina prevalente, per determinare se un atto discrezionale sia contrario ai doveri di ufficio, occorre accertare la violazione delle regole inerenti l’uso del potere discrezionale, che si verifica quando l’agente pubblico non persegue l’interesse concreto per il quale il potere gli è stato conferito dalla legge o non rispetta i precetti di logica e di imparzialità sempre sottesi all’azione amministrativa. Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, deve ritenersi violato il dovere di ufficio di agire con imparzialità nella ricerca dell’interesse pubblico quando, a fronte, della possibilità di adottare più soluzioni, il pubblico ufficiale operi la sua scelta in modo da assicurare (anche con omissioni o ritardi) il maggior beneficio per il compratore di influenze, che lo ha “agganciato” attraverso il mediatore (Corte di Cassazione, sez. 6 penale, sentenza del 11/07/2013, n. 29789).

TRA MILLANTATO CREDITO E CORRUZIONE Il reato di traffico di influenze si pone a metà strada tra il reato di millantato credito ed il reato di corruzione. Dal primo, infatti, si differenzia perché le relazioni con il pubblico ufficiale, utili ai fini che abbiamo detto sopra, sono effettivamente esistenti e non solo vantate. Dal secondo si differenzia perché, pur consistendo in un comportamento propedeutico alla commissione di un’eventuale corruzione (come sopra delineato), il reato in questione è caratterizzato dal fatto che il denaro o l’utilità patrimoniale sono rivolti solo a chi è chiamato ad esercitare l’influenza sul pubblico ufficiale o sull’incaricato di pubblico servizio sfruttandone la relazione esistente, e non al soggetto che esercita la pubblica funzione. Infatti, il prezzo o l’utilità richiesti nel reato in esame sono finalizzati a retribuire soltanto l’opera di mediazione, non potendo, quindi, essere destinato, neppure in parte, all’agente pubblico (Corte di Cassazione, Sez. 6 penale, sentenza del 27/01/2017, n. 4113).

Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente Parlando