venerdì 14 luglio 2017

LAVORO: MALATTIA AUTOCERTIFICATA, SEMPLIFICA O AGEVOLA I FANNULLONI?


In questi giorni, si è fatto un gran parlare di un disegno di legge, giunto all’esame del Senato, che prevede che, in caso di malattia per un periodo inferiore a tre giorni, sia lo stesso lavoratore a comunicare il proprio stato di salute al medico curante, che a sua volta ha il solo compito di inoltrare la comunicazione all’INSPS e al datore di lavoro. Infatti, sebbene il disegno di legge abbia il dichiarato fine di semplificare la normativa vigente in materia di certificazione dello stato di malattia del dipendente pubblico e privato, presenta, nello stesso tempo, anche un evidente punto debole: quello di agevolare i lavoratori assenteisti o semplicemente fannulloni. Questi, infatti, non essendo più obbligatoria la certificazione medica che attesti lo stato di malattia con dati clinici direttamente constatati e oggettivamente documentati dal medico curante, avrebbero vita facile. Cerchiamo allora di capire meglio.
 
IL DISEGNO DI LEGGE in questione è il n. 2059, intitolato “Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di false attestazioni o certificazioni e controlli sulle assenze”. Esso, infatti, intende modificare alcune disposizioni del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. In particolare, l’obiettivo del disegno di legge è quello di apportare dei correttivi agli articoli 55-quinquies e 55-septies del decreto legislativo, in materia di false attestazioni del lavoratore e del medico curante nei casi di assenza dal lavoro per malattia. La normativa vigente prevede infatti che, in tutti i casi di assenza per malattia, la certificazione medica attestante lo stato di salute del lavoratore debba essere inviata per via telematica, a partire dal primo giorno di assenza, dal medico, o dalla struttura sanitaria che la rilascia, all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS). La certificazione medica inviata deve inoltre attestare dati clinici direttamente constatati e oggettivamente documentati. In mancanza di queste caratteristiche, infatti, al medico si applicano le stesse sanzioni previste nei casi di certificazione medica falsa.

SECONDO GLI ESTENSORI del disegno di legge, tuttavia, nel disciplinare la materia, si sarebbe dovuto tenere conto del fatto che ogni giorno vengono inviati all’INPS moltissimi certificati di malattia che, nella maggior parte dei casi, sono relativi ad assenze dal lavoro inferiori a tre giorni e riguardanti sintomi riferiti dal paziente, difficilmente verificabili sul piano clinico e con limitate possibilità di accertamento da parte del medico, che spesso certifica lo stato di malattia sulla base di un rapporto di fiducia con il proprio paziente. Si tratta in questi casi di stati di malessere generale, mal di testa o dolori addominali, tutti disturbi di rado accertabili da parte del medico. Da qui, il disegno di legge in esame. Ma, ed ecco il punto debole di cui si parlava all’inizio, anziché cercare di adeguare la normativa vigente in modo da disciplinare sì, ma in maniera adeguata e rigorosa, tali casi (oramai sempre più frequenti e diffusi, e dietro i quali spesso si nascondono casi di assenteismo), il disegno di legge sembra in qualche modo recepire e liberalizzare tali stati di malattia non comprovabili clinicamente, sottraendoli addirittura ad una, sia pur minima, verifica medica!

VARI SONO I PROFILI DI CRITICITÀ della proposta di legge. Leggendo il documento, infatti, ci si rende immediatamente conto non solo della pochezza dei suoi contenuti, a fronte della portata della modifica normativa che intende apportare, ma anche dei limiti e della incompletezza della disciplina che propone. Tanto per cominciare, infatti, il documento, imponendo la certificazione medica solo per le malattie superiori a tre giorni (in modifica dell’attuale art. 55-septies, comma 2, primo periodo, D. Lgs. n. 165/2001) e consentendo l’autodichiarazione del lavoratore solo nei casi di malattie inferiori a tre giorni (aggiungendo un comma 2 bis all’attuale art. 55-septies del D. Lgs. n. 165/2001), sembra dimenticarsi del tutto dei casi di assenza per malattie di durata pari a tre giorni. Inoltre, bene si sarebbe fatto se si fosse delimitata l’utilizzabilità da parte del lavoratore di detta autodichiarazione, che, così come configurata nell’attuale testo del disegno di legge, appare senza alcun limite. Nessun controllo (anche a campione) è infatti previsto circa la sua veridicità. Né è previsto un numero massimo di autodichiarazioni validamente rilasciabili dal lavoratore. Perché, infatti, non prevedere un limite annuale, superato il quale imporre la certificazione medica? Perché non prevedere anche una distanza temporale minima tra una autodichiarazione e l’altra, per evitare assenze continue e ravvicinate, che senza dubbio inciderebbero sulla continuità della prestazione lavorativa con evidenti ripercussione sulla produttività del dipendente? Che senso ha, poi, il ruolo di semplice “passa carte” del medico? Perché non escluderlo del tutto, visto che di fatto non svolge alcuna funzione medica nel procedimento?

SENZA DUBBIO sono considerazioni premature, sono solo riflessioni, che lasciano il tempo che trovano. Si tratta solo, infatti, di un disegno di legge, in discussione al Parlamento già da un paio di anni e che non è detto giunga ad un’approvazione finale! Ma sono comunque considerazioni che vale la pena di fare, sia per cultura giuridica sia perché danno l’idea di come certe tematiche, nonostante ampiamente discusse e sentite dall’opinione pubblica e giunte finanche all’attenzione della giurisprudenza di legittimità, vengano spesso affrontate con superficialità e inadeguatezza da chi, invece, è deputato a conoscerle approfonditamente e a normarle conseguentemente.


Avvocato Gabriella Sparano – Redazione Giuridicamente parlando